venerdì 13 maggio 2016

'Na tazzulella 'e cafè con Milica Marinkovic

Buongiorno splendidi lettori,

siete pronti per conoscere una scrittrice serba? E allora leggete quest'intervista a Milica Marinkovic

Milica

 

Benvenuta Milica!

Grazie! Bentrovata!

Parto in maniera piuttosto classica: utilizza tre aggettivi per elencare i tuoi pregi e altri tre per i tuoi difetti.

Sembra una domanda banale, ma in realtà non lo è. Non ho mai cercato di definirmi con un sostantivo, per cui non mi sono mai coperta di attributi, ovvero di aggettivi. Se dovessi decidere quali sarebbero i miei pregi e i miei difetti, penso che userei gli stessi aggettivi i quali, nelle dosi aumentate, potrebbero diventare difetti. Per esempio, autocritica, pignola, ambiziosa... Ecco perché ti dirò due situazioni dove vengono fuori un mio difetto e un mio pregio: mi arrabbio rapidamente e facilmente, ma, per fortuna, quello stato dura pochissimo. Non giudico mai, penso sia un grande pregio.


La tua vita ti ha portato a studiare tanto. Nella tua nazione di origine, infatti, ti sei Laureata in Lingue e letterature romanze e in Linguistica francese, mentre ora, a Bari stai concludendo un dottorato. Non è da tutti un percorso di questo tipo, che cosa ti ha spinto a seguirlo? Quali sono i tuoi obiettivi?

Grazie. Sì, ho sempre sentito una forte attrazione per la letteratura e per le lingue straniere. Un po’ di tutto ciò ho inserito nel mio romanzo Piacere, Amelia, ma soprattutto in un racconto che prossimamente sarà pubblicato in un’antologia, sempre con la casa editrice Les Flaneurs. Mi occupo anche di traduzioni letterarie e li vedo il perfetto connubio tra le mie due passioni: la letteratura e le lingue straniere. A giugno finisco il dottorato di ricerca e, dopo diverse esperienze lavorative all’estero e in Italia, mi dedicherò probabilmente alla traduzione. Come sempre, seguirò le mie passioni. Non mi hanno mai tradita.


Hai già pubblicato diversi saggi e curato un’antologia, “Piacere, Amelia” è però il tuo primo romanzo. Parlaci di lui.

Sì, Piacere, Amelia è il mio primo romanzo, uscito a marzo per Les Flaneurs. Nasce in un momento di solitudine. Le mie ricerche universitarie mi avevano portata in Canada, dove ho passato un bel po’ di tempo lontana da casa. Ovvero, da case, perché una è in Serbia, l’altra in Italia. È lì che sono uscite fuori le mie domande sul mondo virtuale e sui suoi poteri, sulle sue apparenze. Dopo che finivo le chat con i miei familiari e i miei amici, dato il fuso orario di sei ore, rimanevo sola e scrivevo. Ho immaginato Amelia e Pierre come me. Tutti e due cercano qualcosa in un mondo nuovo, in un mondo virtuale. Lei riceve da lui la richiesta d’amicizia, fanno la loro conoscenza e cominciano a svelarsi, a spogliarsi. Fin dove può arrivare la libertà virtuale? Perché quella stessa libertà non ci spinge avanti anche nel mondo reale? Che cosa è che ci blocca? Qual è la differenza tra la comunicazione di tutti i giorni e quella in linea? Perché la seconda ci atira di più? Che cosa può nascere tra due persone che non si sono mai viste, ma non possono vivere l’una senza l’altra? I dubbi che tormentano un rapporto del genere sono uguali a quelli che nascono nelle relazioni vere o sono più intensi? Cosa può succedere dopo l’incontro vero tra quelle due persone? Oltre alla rete a ai social, ci sono altri mondi virtuali? Siamo sicuri che nel mondo reale viviamo la realtà? Queste sono le domande alle quali ho cercato di rispondere tramite la relazione virtuale di Pierre e Amelia. Penso che questo romanzo possa offrire diversi spunti di riflessione. Pierre è traduttore, Amelia è bibliotecaria, quindi, i temi della letteratura e delle lingue straniere sono inevitabili. Anche il tema dell’identità dello straniero, di Pierre, ovvero di me.

Qual è il tuo ambiente ideale per scrivere?

È la posizione nella quale mi trovo adesso mentre rispondo alle tue domande. Ho una stanza dove lavoro, dove scrivo i saggi, gli articoli, le traduzioni. Però, scrivere i racconti e i romanzi è diverso. Ho bisogno di staccarmi dall’ambiente lavorativo. Ecco perché per scrivere uso un supporto per PC portatile, quel comodissimo oggetto che sopra è come un vassoio piano, mentre sotto è come un cuscino. Così, quando scrivo, mi abbandono nella mia poltrona preferita, appoggio i piedi davanti e sulle ginocchia ho il mio carissimo oggetto. È una scrivania mobile.

Come ti immagini tra 20 anni?

Come ora, ma con vent’anni in più. Come ora, nel senso che non vorrei che cambiassero molte cose. Ciò non vuol dire che tutto vada benissimo nella mia vita. Come quasi tutti i giovani di oggi, sono precaria, non ho nessuna stabilità lavorativa nella vita. Certo che vorrei che questa situazione cambiasse e spero tanto di sì. Anzi, lo so che cambierà. Non ho mai avuto progetti a lungo termine, non ho mai desiderato essere un’altra persona. Vediamo come va. Certo, sono curiosa di vedere tutto, ma vivo la mia vita godendomela con tutti i suoi sacrifici, ostacoli, delusioni, nostalgie, amori, gioie, piogge e tramonti. Come un personaggio letterario. Narro tutto in prima persona, ma un narratore onnisciente ci deve essere, ne sono sicura.


Che opinione ti sei fatta dell’editoria italiana (compreso il self publishing)?

È un mondo particolare, pieno di persone vanitose, di artisti incompresi, di orgogliosi, di irrispettosi, di quelli che promettono ma non mantengono promesse, di quelli che ti lusingano finché servi, ma poi ti dimenticano. In effetti, non dobbiamo dimenticare che si tratta di un mondo di parole, alla lettera. Un mondo che vive di parole, che produce parole, e che, molto spesso, non ha nient’altro da offrirti che parole. Spesso quelle false. Dall’altro lato, non ne possiamo fare a meno. L’editoria in sé è bella perché crea dei libri. Non penso che l’editoria italiana sia un caso isolato, ormai tanti paesi si trovano nella medesima situazione. Per quanto riguarda il self publishing, non ci vedo nulla di negativo come idea. In effetti, il self publishing nasce, secondo me, da un concetto giusto. Se l’editoria in generale cerca solo gli autori che possono vendere, senza dare voce alla qualità, un autore decide di autopubblicarsi. Però, così come tutto il resto, anche il self publishing è diventato tutt’altro. Ora è proprio lì che vediamo i libri di ogni genere che forse non sarebbero pubblicati nemmeno dai peggiori editori. Però, ahimè, ognuno si sente libero di rendere pubblico ciò che vuole. Non tutti, però, si vogliono sentire liberi di pensare prima di pubblicare. Quello è il problema della nostra società.


Progetti futuri?

Per quanto riguarda la scrittura, sto curando un’antologia poetica e scrivendo un altro romanzo. Come ti ho detto, fra poco finirà un importante percorso scientifico della mia vita, quindi, tutto ciò che verrà, sarà veramente un futuro per me.


Permettimi una domanda un po’ fuori tema. Come ti trovi in Italia? In cosa si distingue dalla Serbia?

In Italia mi trovo per amore. Vivo in Puglia, una regione abbastanza simile alla Serbia per quanto riguarda la generosità della gente, l’accoglienza, la simpatia. Il Paese dell’arte e della bellezza si deve amare. Quello che non mi piace, è il mondo di apparenze che vedo. Tutti, o tanti, vivono nell’apparenza, nel far vedere agli altri che le cose vanno bene, mentre, in realtà, tutto crolla. Mi riferisco sia alle persone, che ai gruppi e al sistema. Forse è una mia illusione, ma ho trovato poca sincerità in Italia. Poca trasparenza, molta apparenza.


Grazie per questa piacevole chiacchierata, Milica!

 Grazie a te. È stato un piacere. Piacere, Amelia. J

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