sabato 2 maggio 2015

Recensione: Ho nascosto la mia voce di Parinoush Saniee





TRAMA

Iran. Shahab adora guardare la luna, che se ne sta nel cielo, silenziosa. Come lui. Perché Shahab ha quattro anni, ma non ha ancora fatto sentire la sua voce. Non c'è niente in lui che non vada. Ha solo deciso che non è il momento di iniziare a parlare.
Quando gli altri lo prendono in giro per questa sua stranezza, lui si chiude nel suo mondo con i suoi amici immaginari, Babi e Asi. Per tutti è un bambino difficile, problematico, forse meno sveglio rispetto ai suoi coetanei. Questo è quello che pensa anche suo padre Naser che non ha il tempo né la voglia di comprendere il figlio e i suoi silenzi. Per lui esiste solo suo fratello maggiore, che lo rende orgoglioso, ed è il primo in ogni cosa. Mentre Shahab combina sempre qualcosa di sbagliato. 
C'è un'unica persona pronta ad ascoltare le sue parole non dette, a capire che ha solamente bisogno di tempo per cominciare a parlare: sua madre Mariam. Perché anche lei sa cosa vuol dire sentirsi diversi, in una realtà in cui una donna laureata deve rinunciare alla sua carriera per occuparsi della famiglia. Perché lei sa che il silenzio del bambino in realtà è un'arma contro l'indifferenza di Naser. È una richiesta di attenzioni e di affetto. Tutto quello che l'uomo non gli ha mai dato.
Grazie a lei Shahab scopre giorno dopo giorno che a volte la strada che porta al cuore delle persone è lunga e piena di ostacoli. Ma quando l'obiettivo è davvero importante si trova sempre un modo di far sentire la propria voce e rompere il silenzio. 
Dopo lo straordinario successo di Quello che mi spetta, torna Parinoush Saniee, l'autrice che ha raccontato le donne iraniane e la loro lotta contro il fanatismo. Ho nascosto la mia voce è un nuovo caso editoriale in pubblicazione in tutto il mondo, ma censurato in Iran. Le parole non dette di un bambino diventano un grido contro l'insensibilità e l'indifferenza. Perché spesso ci si dimentica del valore di un gesto, di una carezza, di un abbraccio. Spesso non si riconosce quanto sia meraviglioso quel fiore diverso da tutti gli altri, e per questo ancora più speciale.

LA MIA OPINIONE

Nel leggere questo romanzo l’emozione ha toccato le stelle. M ha tenuto sveglia fino a tardi, non permettendomi di staccare i miei occhi lacrimanti da quelle pagine. Mi ha colpito nel profondo, fatto riflettere e comprendere tante cose della vita. Della vita di tutti, ma soprattutto della mia. Mi ha fatto capire, con maggiore intensità, la grande importanza di un bacio o di una carezza da parte di un padre (o di una madre), gesti che spesso si danno per scontati o superflui.  
Shabab è un bambino come tanti, ma con una caratteristica che lo distingue da tutti gli altri: non parla. Lui si limita ad ascoltare e assimila tutto ciò che sente. Sin da piccolo viene etichettato come “tonto”. Lo reputano ritardato e lui, volente o nolente, finisce per crederci. Del resto persino suo padre pensa che abbia qualche problema , e se lo dice lui che lo ha messo al mondo, dev’essere sicuramente così, no?
Ma realmente, Shahab, non ha nulla che non va. Non è tonto, né tanto meno ritardato. E' solo un bambino impaurito ed incompreso; si sente estremamente solo. Suo padre non gli dimostra il suo affetto, non lo bacia, non gli fa una carezza e non riserva per lui mai nessun complimento. Quando cresce, Shahab, con lo stupore di tutti, si rivela un ragazzino molto intelligente. E il risentimento nei confronti del padre, sembra non poter svanire mai  e i traumi subiti in tenera età, in qualche modo, condizionano la sua vita sociale. 
Del resto è proprio quando si è  piccoli che si forma il carattere. Non siamo altro che il frutto di ciò che eravamo da piccoli e, una volta cresciuti, ci trattiamo come ci trattavano gli altri.
Per concludere vi lascio un breve estratto, nella speranza di convincervi a comprare questo libro che, a mio avviso, merita di essere letto:


“Come sempre gironzolavo nel cortile della scuola guardando i bambini giocare. Mi sarebbe piaciuto molto giocare con loro ma c’era qualcosa dentro di me che mi bloccava. Sentivo di essere diverso.”


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