domenica 4 ottobre 2015

Recensione: Colpa delle stelle di John Green


TRAMA

Hazel ha sedici anni, ma ha già alle spalle un vero miracolo: grazie a un farmaco sperimentale, la malattia che anni prima le hanno diagnosticato è ora in regressione. Ha però anche imparato che i miracoli si pagano: mentre lei rimbalzava tra corse in ospedale e lunghe degenze, il mondo correva veloce, lasciandola indietro, sola e fuori sincrono rispetto alle sue coetanee, con una vita in frantumi in cui i pezzi non si incastrano più. Un giorno però il destino le fa incontrare Augustus, affascinante compagno di sventure che la travolge con la sua fame di vita, di passioni, di risate, e le dimostra che il mondo non si è fermato, insieme possono riacciuffarlo. Ma come un peccato originale, come una colpa scritta nelle stelle avverse sotto cui Hazel e Augustus sono nati, il tempo che hanno a disposizione è un miracolo, e in quanto tale andrà pagato.

LA MIA OPINIONE

Leggo questo libro in ritardo. In ritardo rispetto a chi lo ha letto prima, durante o subito dopo l'uscita del film a lui ispirato. Io non sono nemmeno mai andata al cinema a vederlo, mi sono sempre rifiutata, considerandolo troppo deprimente. E non mi sbagliavo. Ciò nonostante, considerando il suo grande successo, ho voluto leggere il romanzo. E questo è ciò che penso: 
John Green ha uno stile di scrittura, a mio avviso, al quanto discutibile. Soprattutto per quanto concerne i dialoghi, dove la gestione risulta pessima, rendendo l'intero romanzo faticoso e noioso da leggere. Ai due protagonisti, Hazel e Augustus, due adolescenti di sedici e diciassette anni, è stata attribuita la classica espressione gergale che quasi tutti i ragazzi di oggi utilizzano, ma che in bocca a due ragazzi malati di cancro, in fase terminale, stona. Soprattutto essendo loro, in particolar modo Hazel, lettori sfegatati. Le descrizioni appaiono brevi e poco dettagliate. 
L'intero romanzo gira intorno al concetto di morte. (Esiste qualcosa dopo di essa? Il paradiso è solo un invenzione? E così via) o intorno al cancro (raccontato in maniera assai deprimente che lascia al lettore solo tristezza). Sarebbe dovuto essere un libro di riflessione, eppure non mi è sembrato tale. Ho letto molti libri dove i protagonisti erano malati, ma la bellezza di questi stava proprio nell'affrontare l'argomento senza deprimere il lettore. 
Avrei preferito, inoltre, se vi fosse stato un finale più epico. Non per forza un lieto fine, ma un finale che potesse permettermi una valutazione nettamente migliore a quella che sto dando ora. 
Questo libro è composto da circa quattrocento pagine. Forse un romanzo più breve ma meglio gestito avrebbe potuto dargli un valore aggiunto. 
Gli unici due aspetti positivi riscontrate in queste righe sono:

  1. La piramide di Maslow  (citata a fine romanzo)
  2. Questo breve estratto: 
"Sentivo addosso gli sguardi di tutti, che sicuramente si chiedevano cosa avessimo che non andava, e se fosse una cosa mortale, e si dicevano quanto doveva essere eroica mia madre e quant'altro. E' quella la parte peggiore dell'avere il cancro, a volte: l'evidenza fisica della tua malattia, che ti separa dagli altri. Eravamo irriducibilmente diversi, e non era mai stato tanto ovvio quanto in quel momento, in cui siamo entrati nell' aereo ancora vuoto, con la hostess che annuiva addolorata e gesticolando ci indicava i nostri posti, che erano in una fila in fondo."

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